Ugo Foscolo: E te, leggiadra Venere, Te canteremo ancora, O Dea



E te, leggiadra Venere,
Te canteremo ancora,
O Dea, pi� fresca e rosea
Della serena Aurora;
Te, cui le Grazie morbide
Sieguon coi biondi Amori,
Te, che tra Giuno e Pallade
Avesti i primi onori.
Ma non avrai di giubilo
Canti, vezzosa Dea;
Suoni giocosi ed ilari
La cetra un d� spargea;
Or gi� non pi�: ch� scorsero
Qu� s� beati giorni,
Sacri ad amor purissimo,
Da mutua pace adorni.
Me di fanciulla instabile
Arde l'incerta fede;
Mal possono le lagrime
Di cui le bagno il piede.
A te ricorro io supplice,
O tra la belle bella;
Almen tu, piega l'anima
Della mia rea donzella.
Te di Neera il tenero
Cantor chiamar solea,
Quando fra voti flebili
All'are tue sedea;
E con fragranti aromati,
Con fiori al suol, dispersi
Su la gemente cetera
A te innalzava i versi.
L'aitasti, o Dea? Le lagrime
Tergesti a lui pietosa?
Torn� per te a quel misero
La ninfa sua ritrosa?
Ah no! Tu, Diva idalia,
Che in ogni dove imperi
Su l'infelice giovane
Giravi i lumi alteri.
N� Adon membrasti, e i gemiti,
E il ripercosso petto,
Allor che in s� porgeati
D� mali suoi l'aspetto,
Te pure Amor con l'aureo
Dardo, te pur fer�o;
Lo sa il tuo cor medesimo
Quanto � tiran quel Dio.
Pianti d'amor sgorgarono
Dal tuo beante ciglio;
Eppur, ch'il crede? Piacquero
Quei pianti al crudo figlio
Piet�, gran Dea: d'un misero
Alleggia i tristi affanni,
Che di sua, et� pi� florida
Consacra a te i begli anni.
Piet�! - La mesta effigie
Del volto mio tu mostra,
Tra le sognate immagini
A la fanciulla nostra.
F� che il suo cor le palpiti
Con moto non pi� inteso;
F� che di fiamma ingenua
Sentasi il core acceso.
Ah! se da quel di porpora
Labbro suonar io sento,
T'amo, per me nettareo
Per me beato accento;
Sacerdotessa, o Venere,
Sempre far� che sia
Attenta ai tuoi misterii
Questa fanciulla mia.


Ugo Foscolo

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